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Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 5 giugno

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L’amore che non muore” di Gilles Lellouche è un film rumoroso e sfacciato, kitsche e arrogante: peccato perché l’inizio alla “Sonatine” prometteva ben altro.

Mauro Mancini torna a raccontare la disumanizzazione dell’individuo in una storia di combattimenti clandestini, colpa e redenzione. “Mani nude” è un’opera seconda che sa cosa e come guardare. Con Francesco Gheghi (ormai uno dei giovani attori sulla cresta dell’onda) e un taciturno Alessandro Gassmann.

Con “Aragoste a Manhattan”, Alonso Ruizpalacios rende omaggio al mondo sommerso delle cucine, microcosmi che sono anche specchio dell’America di oggi.

In “Fino alle montagne, Mathyas Lefebure racconta il ritorno alla natura più incontaminata e antica, per riappropriarsi, da ultimo, della vita stessa.

Regia: Gilles Lellouche

Cast: Adèle Exarchopoulos, François Civil, Mallory Wanecques, Malik Frikah, Benoît Poelvoorde

Durata: 166’

 

Anni ’80. Motorini e bicilette, Cure e Prince che canta “Nothing Compare 2 U”, lei e lui: due opposti che si attraggono. Jacqueline, 15 anni (Mallory Wanecques; Adèle Exarchopoulos da adulta), è rimasta orfana di madre, cresciuta – piccola borghese - da un padre premuroso che prova anche a cucinare ma, alla fine, le scongela una pizza. Clotaire, 17 anni anni (Malik Frikah; François Civil da adulto), è, invece, di estrazione proletaria: il padre gli insegna a non considerare alcun tipo di bellezza, così da non rimanere mai deluso. Furtarelli, risse, cicatrici, vocabolario limitato: l’orizzonte criminale è già un destino.

Eppure, tra i due, è amore “folle” a prima vista, di quelli che oscurano il sole. E il buio arriva davvero, quando Clotaire viene condannato a 12 anni di carcere per un omicidio che non ha commesso durante una rapina organizzata dal boss locale (Benoît Poelvoorde). Uscito di galera ha un solo pensiero: ritrovare Jackie che, nel frattempo, si è costruita una vita (e una corazza) agiata per non pensare a quell’amore troppo potente e passionale.

Gilles Lellouche si scatena, dirigendo il suo romanzo criminale: “L’amore che non muore” è un film rumoroso e sfacciato, kitsche e arrogante che deraglia in continuazione e con un “doppio” finale che rimescola tutte le carte sul tavolo, già riempito all’inverosimile di sequenze barocche, canzoni, gomme da masticare che pulsano, corse a perdifiato, pugni e sangue. Eppure, l’inizio del film, con la sparatoria fuori campo, promette bene, così come l’innamoramento ballerino di Jackie e Clotaire.

Poi Lellouche (più celebre come attore che come regista) gioca al gangster-movie alla Scorsese, al coming of age che diventa melò, arroventa il ferro della messa in scena per poi raffreddarlo con dosi di nichilismo. Fiammeggiante e, allo stesso tempo, ingenuo,........

© Corriere delle Alpi