Il caso del gruppo Facebook Mia moglie: come (e perché) il patriarcato rivive nella violenza digitale
La propria casa, il proprio letto, il proprio marito. L’emblema della sicurezza, della tranquillità, distrutto da uno scatto rubato, un post su Facebook dato in pasto al branco.
Un gruppo, “Mia moglie”, seguito da 3 innocui cuoricini, dove le donne sono ancora una volta merce da esibire, da violare, da deridere.
Perché il minimo comun denominatore, il refrain, è sempre lo stesso «Lei è mia e ne faccio ciò che voglio».
Un clic – magari fosse uno – che butta alle ortiche campagne contro la violenza sulle donne, manifestazioni, proteste. Eccolo qua. Ancora patriarcato, cambia la forma, ma non la sostanza.
Un post su Instagram di una scrittrice e sceneggiatrice, Carolina Capria, solleva il velo su un’attività su Facebook di «stupro virtuale» che toglie il fiato.
«Mi è stata segnalata l'esistenza di un gruppo Facebook di 32.000 persone nel quale i membri si scambiano foto intime delle proprie mogli per commentarne l'aspetto in modo esplicito e dar voce alle proprie fantasie sessuali. Donne spesso inconsapevoli di essere fotografate per diventare prede di uno stupro virtuale».
Un post condiviso da carolina capria (@lhascrittounafemmina)
Scatta la denuncia, i mostri travestiti da innocui mariti e compagni sono individuati e scoperti, il gruppo viene chiuso da Meta. Fine. Macchè.
Il gruppo risorge su Telegram, sono quattro gatti, ma intanto c’è. L’impressione, svilente, è che si cerchi di svuotare il mare con il cucchiaino, purtroppo.
Un utente scrive: «Abbiamo appena creato un nuovo gruppo privato e sicuro, chiedete informazioni qui sotto, e vi mandiamo il link, solo dopo essere stati autenticizzati come coppia reale… saluti ed in c*lo a i moralisti…».
Come dire che non basta un colpo assestato per stendere il........
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