Cinesi a caccia di cinesi: la repressione silenziosa di Pechino arriva in Italia
C’è chi scappa perché cristiano. Chi perché accusato di truffa, o perché cerca libertà d’espressione. Chiedono tutti protezione in Italia. Ma la «lunga mano» di Pechino arriva a braccarli anche qui
Li cercano ovunque: negli Internet point, nei dormitori affittati in nero, nei centri religiosi di periferia. C’è chi scappa da un culto proibito, chi da una truffa che gli è stata accollata, chi da un dissenso che, seppur sussurrato, ai piani alti del Partito comunista cinese, la massima autorità politica nel Paese del Dragone, è arrivato troppo forte.
La «persecuzione», almeno così la vivono quelli che chiedono la protezione internazionale, va avanti a geometria variabile. E l’Italia spesso diventa terra di caccia. Silenziosa, discreta. Ma reale. I casi si moltiplicano. E sono accomunati da ricostruzioni molto simili. Prato, gennaio 2025. Un funzionario cinese viene arrestato in un magazzino. Accusato di frodi per 185 milioni di euro. Ma per Pechino è più di un ricercato: è un nemico del Partito.
È la «Fox Hunt», la caccia alla volpe lanciata da anni dal governo cinese guidato da Xi Jinping per riportare a casa soldi e oppositori. In Italia la repressione si fa silenziosa: mandati Interpol, arresti, pressioni sui familiari rimasti in patria.
A Prato, nel 2022, spunta persino una «stazione di polizia» cinese non ufficiale. Nessun distintivo, ma una missione chiara: sorvegliare la diaspora. Le storie che arrivano in Tribunale si assomigliano tutte. Quella di Ancona è la più famosa: una donna detenuta per 205 giorni, poi scagionata. Lo Stato le paga 48 mila euro per l’errore. O come a Numana: un ingegnere fermato in hotel,........
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