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Di Pietrantonio: "Io, la memoria e l'Abruzzo dai mille dialetti"

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04.10.2024

Cosa si prova a diventare – dopo il trionfo del premio Strega – uno dei simboli dell’Abruzzo e dell’Italia nel mondo?

(Ride). "Non scherzi. Per ora è già tanto se resto una odontoiatra infantile a Penne".

Avevo letto che lei abbandonava lo studio in cui ha lavorato – quello in cui ci troviamo adesso – per 36 anni.

"Per chi come me si occupa di salute, perché si possa lasciare il lavoro è necessario che sia finito il rapporto con l’ultimo paziente".

Ma ci vorrà più di un anno!

"Ci vorrà quel che ci vorrà, io non lascio i miei bambini a metà strada".

Perché non possono passare ad un altro medico?

"Forse per altri. Ma per me no. Che sia un libro o una bocca, quello che inizio lo porto sempre a termine. Di che parliamo in questa intervista?".

Della Di Pietrantonio e del concetto di “Abruzzesità”.

(Altro sorriso). "Allora ha davanti una delle massime esperte mondiali".

La metto alla prova. Diamo una definizione ultra sintetica di cosa sia un abruzzese.

"Ha presente lo stereotipo più classico, quello riassunto dal cliché che vorrebbe l’abruzzese sempre e comunque “forte e gentile”?.

È una semplificazione retorica.

"No, è l’immagine più vicina alla realtà. E dopo anni che mi ci arrovello, credo anche di avere capito perché".

Provoco. Non è un po’ buonista come sintesi?

"No, perché questi due abiti mentali sono il prodotto dell’anima più autentica – contadina, pastorale – dell’Abruzzo. L’Abruzzo dell’interno, della montagna, ha scritto questo frammento nel Dna della mia regione".

Proviamo a spiegare perché.

"Basta la mia biografia. Sono nata nel 1962 ad Arsita, nel Teramano. Il primo medico della mia infanzia, era a venti chilometri di distanza da casa".

Detto così sembra che lei parli di un altro secolo.

"E ancora non le ho raccontato nulla: non c’era l’acqua, non c’era il telefono. Ma, soprattutto, non c’era la strada!".

E quindi come ci si andava dal medico?

(Sgrana gli occhi). "Ma a dorso di mulo, ovviamente!".

Che macchina avevate?

"Ah, ah, ah; una Fiat Ritmo, ma solo nel decennio successivo. Negli anni Ottanta. Ha presente la Ritmo?".

L’ha avuta anche Obama. E i miei genitori.

"Beh, negli anni Settanta, ad Arsita, lo status symbol era il mulo. Indispensabile per tutti, ancora di più per i miei genitori che avevano appezzamenti staccati".

Come mai?

"Le grandi superfici erano dei latifondisti. Pensi che il nostro pezzo di terra migliore era un lotto scosceso al di là del fiume rispetto a casa nostra. Immagini traversarlo carico d’inverno, tutto coperto di neve".

Ma perché tutto questo me lo racconta per spiegare lo stereotipo?

"Perché le famiglie contadine vivevano immerse in questa natura, incantate da questo spettacolo, ma anche in lotta contro tutti questi elementi. È l’esatto contrario del buonismo, perché chi non aveva forza di mettersi in questa lotta soccombeva".

Oppure…

"Emigravano. I primogeniti come mio padre, contadini e pastori. Alcuni figli emigravano".

E mandavano soldi da fuori.

"Certo. Penso alla storia di mio zio Emilio, emigrato in Svizzera prima e in Germania poi. E tornato solo adesso, da anziano, dopo essere rimasto solo".

Dove vive?

"A casa con mio padre. Lo guardo con affetto estremo, pensando a tutto quello che ha sacrificato, alle rinunce, al ritrovarsi ottantenne tra due mondi, legato ad entrambi e forse non appartenente a nessuno dei due. Tuttavia, ancora immersi in queste terre, al lavoro".

Ma lei non ha raccontato che suo padre ha già 88 anni?

"Esatto".

E ancora lavora la terra?

"Guardi, il luogo dove mio padre passa più tempo è il trattore. Se lei lo vede in un altro luogo significa che è stanco, o che si sta annoiando. O che sta pensando a cosa farà poi sul trattore".

Ah ah ah. Ho capito perché “Forte”. Però mi deve convincere che questo abruzzese impegnato in questa lotta titanica con la natura è anche “Gentile”.

"Ma lo è, senza dubbio! Guardi, ancora una volta: non per un qualche galateo, ma per un senso di necessità darwiniano".

La scrittrice al Premio Strega 2024

Spieghiamolo.

"Basta recuperare una parola bellissima del nostro dialetto e raccontarle dello Scagnaiut….".

Oddìo, non ho il vocabolario: “scambia” e “aiuta”? Ma cos’è?

(Sospira). "Ehhh… Perché lei non ha mai mietuto il grano con la falce. Ovviamente".

Lei, ovviamente sì.

"Milioni di volte. E andando a cercare l’ultima spiga, nell’ultimo anfratto dell’ultimo cespuglio".

Perché eravate così poveri da non poter perdere un chicco?

"No, per rispetto del campo. “S’ha da fa’ accusci!”. Il lavoro va fatto bene. Il lavoro della terra è sacro, più vicino al rito che al mestiere. Non si doveva sprecare niente. Niente! Sprecare........

© Il Centro


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