Nel Lazio dimezzati i fondi per i diritti dei detenuti
Morire suicida a 22 anni perché trattenuto per mesi in un Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR) senza aver commesso alcun reato: è stato il gesto disperato di Ousmane Sylla, 22enne della Guinea, impiccatosi nel CPR di Ponte Galeria, a Roma, con cui è morto anche lo Stato di Diritto e con esso le velleità di una destra, che invece di individuare e punire i reati e snellire la burocrazia sulle politiche migratorie, costringe un innocente in carcere fino al suicidio.
Sì perché Ousmane Sylla dopo aver già trascorso oltre 8 mesi nel Cpr non ha retto alla prospettiva di potervene rimanere (inutilmente) altri dieci, come previsto dal Decreto Cutro del Governo Meloni, che ha aumentato fino a un massimo di 18 mesi il periodo di permanenza per i migranti nei CPR. Tutto ciò senza considerare che alcuni rimpatri non possono essere effettuati in assenza di accordi con i rispettivi paesi di origine dei migranti trattenuti, come appunto nel caso del 22enne suicida proveniente dalla nuova Guinea, con cui l’Italia, a quanto si apprende da fonti di stampa, non aveva infatti stipulato alcun accordo.
Un paradosso che, oltre ad essere emblematico del black out della gestione dei migranti del Governo Meloni, rappresenta anche la punta dell’iceberg di ataviche storture del sistema carcerario italiano, dove aumentano suicidi e atti di autolesionismo tra i detenuti e aggressioni nei confronti degli ormai esausti agenti di Polizia penitenziaria e degli operatori del settore, lasciati soli ad arginare un dramma umano che trasborda nel crescente sovraffollamento delle carceri, come certificano gli stessi dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) del Ministero della Giustizia: alla........
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