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Vita, dipinti e amori della dama dal cappello rosso

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Sì, sono quella che non passa inosservata nel museo di Trieste, la città della mia gioventù. Mi chiamo Leonora Fini, per tutti Leonor o Lolò. Sono nata a Buenos Aires nel 19…, non svelerò l’anno. In fondo, che importanza ha. Ho sempre vissuto nel presente.

Imparai a leggere e a disegnare molto presto. Fin da bambina adoravo le matite colorate, ne avevo tante, perché mia madre, Malvina Braun, era orgogliosa del mio talento.

Sono cresciuta a Trieste in un mondo di adulti: mia madre, mia nonna e mio zio Ernesto Braun, uomo austero, avvocato e appassionato di libri. Nella sua libreria mi sono formata più che a scuola, dove andare a lezione mi pesava.

Se penso alla casa della mia fanciullezza rivedo vasi di Gallé, libri ovunque e nelle stanze un profumo di mele cotogne e cannella.

Mio padre non l’ho mai conosciuto ma, dai racconti di mia madre, triestina dalla cultura mitteleuropea, seppi che era un uomo all’antica, retrogrado e lei ben presto, con me di appena diciotto mesi, lasciò l’Argentina per non farvi più ritorno. Mi è stato riferito che durante la mia infanzia Herminio Fini tentò più volte di rapirmi per riportarmi a Buenos Aires, ma non gli riuscì. Mia madre mi nascose, si allontanò da Trieste e alla fine si risolse a vestirmi da bambino per celare la mia vera identità. Forse iniziò allora la mia passione per i travestimenti, i costumi, le stoffe, le maschere…

I miei dipinti sono una misteriosa autobiografia. Per chi sa osservarli. Smascherano mondi arcani e a volte sono proiezioni nel futuro. Questo è capitato col mio amico Kot, Constantin Jelenski, scrittore polacco. Ci siamo incontrati a Roma nel 1952 e io gli dissi che l’avevo già ritratto in un quadro dipinto poco prima. Quando lui vide l’opera rimase sconvolto. Da allora non ci siamo più lasciati, fino al 1987 quando morì.........

© Corriere delle Alpi