Il lavoro delle donne, un tesoro ignorato a Nord Est
Il declino demografico è una minaccia che investe l’intero Paese, ma nel Nord Est – cuore manifatturiero e locomotiva industriale d’Italia – le sue conseguenze rischiano di essere particolarmente impattanti. Le proiezioni parlano chiaro: entro il 2040, in assenza di significativi flussi migratori, la forza lavoro attiva in quest’area potrebbe ridursi del 20%. Un dato allarmante, che mette a rischio la competitività del sistema produttivo.
In questo scenario, una delle leve immediatamente attivabili è la maggiore occupazione delle donne che nel quadrante orientale del Paese si attesta al 68%: più alta della media italiana (53%), ma ben lontana da Paesi leader come l’Estonia, dove supera l’80%.
Ridurre questo divario non è solo un obiettivo sociale, per le aziende sta diventando, e lo sarà sempre più, una questione di sopravvivenza. Un obiettivo strategico. Da perseguire adottando pratiche di welfare aziendale, misure per la conciliazione tra vita professionale e vita privata, iniziative a sostegno della genitorialità e modelli di governance inclusiva.
Ma che punto sono le imprese di casa nostra? Se da una parte il sistema imprenditoriale è consapevole dell’urgenza di trattenere e attirare nuovi talenti, specie tra i giovani e le donne, dall’altro permangono limiti profondi in termini di servizi concreti e cultura aziendale. A dirlo sono due report realizzati da Fondazione Nord Est.
Sul un campione di 333 imprese manifatturiere con oltre 10 milioni di fatturato considerate, emerge che il 72,7% delle aziende offre flessibilità oraria e il 70,3% propone piani strutturati di welfare, che includono buoni spesa, contributi per il trasporto e borse di studio. Tuttavia si rilevano carenze significative sul fronte del supporto alla genitorialità: asili nido convenzionati, doposcuola o servizi per l’infanzia sono quasi del tutto assenti.
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