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Il sacrificio dei cristiani sulle linee di faglia della guerra mondiale a pezzi

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31.05.2025

La Chiesa è tornata al centro dell’attenzione mondiale in questi ultimi mesi. Anche perché è sembrata legare ancora una volta a sé il destino degli uomini, come ha plasticamente reso evidente il colloquio immortalato nella basilica di San Pietro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky in occasione dei funerali di Francesco. Addirittura, ora pare che il Vaticano possa accogliere trattative tra una delegazione ucraina ed un’altra russa, vista la disponibilità del nuovo papa: «La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi», ha detto il nuovo Pontefice ai partecipanti al Giubileo delle Chiese orientali.

L’elezione di Leone XIV ha poi acceso un dibattito mediatico sul primo pontefice nordamericano: continuerà a dare voce al sud globale come fece Bergoglio nei suoi incontri con i Movimenti popolari, le sue critiche alla globalizzazione dell’indifferenza e alle colonizzazioni ideologiche da parte del relativismo occidentale? Sarà capace di essere critico verso l’attuale amministrazione statunitense o farà prevalere il giudizio di un ex iscritto alle liste dei repubblicani per le primarie?

Operazioni, sia consentito, anche di piccolo cabotaggio politico e di chi riduce sempre il Conclave di Santa Romana Chiesa ad una resa dei conti tra correnti di partito. Se si prova ad alzare lo sguardo, ad andare un po’ più in profondità, e innanzitutto ad ascoltare, ci si rende conto che papa Prevost ha già perfettamente inserito il suo pontificato nel magistero con cui la Chiesa di questo primo quarto di secolo offre al mondo come criterio e guida il suo patrimonio di storia e saggezza.

Papa Leone XIV, 25 maggio 2025 (Foto Ansa)

La guerra mondiale a pezzi

È dalla prima elezione alla Casa Bianca di Trump che gli esperti parlano di “fine di un mondo”. Con esso i più identificano la crisi dell’ordine liberale, che dopo il crollo del muro di Berlino sembrava destinato ad espandersi e comprendere tutto l’orbe terraqueo. In verità, ormai molti concordano che con esso non si deve intendere tanto il liberalismo classico che, proprio in Occidente, ha saputo costruire nei secoli un sistema di tutele e garanzie per la persona. Si deve intendere piuttosto quel modello di sviluppo ben identificato dallo slogan con cui Bill Clinton vinse le presidenziali del 1992: «It’s the economy, stupid!».

Con l’avvento di Trump, e più in generale dei populismi, è finito quel mondo che si era illuso di poter rispondere efficacemente con la globalizzazione del mercato (e l’esportazione della democrazia “sulla punta delle baionette” di G. W. Bush) a tutti i bisogni dell’uomo, anche quelli non “solvibili”, né “vendibili”, che non hanno un potere d’acquisto, come il bisogno personale di riconoscimento, di identità e di senso. La crisi finanziaria del decennio 2008 – 2018 ha fatto crollare il castello di carta. Trump e i populismi sono stati l’effetto e non la causa della fine di quel mondo.

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Conflitti per procura

Nel frattempo, nel 2007 la Russia – con il celebre discorso di Vladimir Putin alla conferenza sulla sicurezza di Monaco – prende le distanze dall’Occidente, accusando gli Stati Uniti di non rispettare il diritto internazionale e metterne in crisi l’ordine mondiale. Due anni dopo Mosca promuove insieme a Pechino la nascita dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) quale contraltare al G7, a cui si aggiungeranno Iran, Etiopia, Egitto ed Emirati Arabi. Nello scorso ottobre, a Karzak, queste nazioni compiono un salto di qualità, con il lancio dell’idea di una valuta comune virtuale chiamata R5 (dalle iniziali delle loro cinque monete: reais, rublo, rupia, renminbi e rand), che – sul modello della vecchia ecu, antesignana dell’euro – faciliti il libero scambio nelle........

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