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A Tel Aviv dopo l’annuncio della tregua. «L’incubo non è finito, ma s’è accesa una luce»

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17.01.2025

Oscillano mossi vento della sera di Tel Aviv i cartelli con le foto che ritraggono i volti dei 98 ostaggi, appesi a un albero come 2.600 anni fa le arpe degli ebrei esiliati a Babilonia. Su tutti i cartelli è segnata l’età del prigioniero al momento del rapimento, ma è stata cancellata da un tratto di penna e un anno è stato aggiunto. Per ognuno è il ricordo di un compleanno non festeggiato. Un piano suona e la musica fa eco nella piazza dove si riuniscono i parenti dei prigionieri di Hamas. Un tunnel di cemento e visori virtuali riproducono la realtà, tutt’altro che virtuale, che vivono da 468 giorni gli ostaggi.

Gli schermi dei televisori nella piazza rilanciano le notizie: l’annuncio della tregua, il calendario fissato per la progressiva liberazione dei primi 33 prigionieri, il rilascio di oltre mille palestinesi detenuti per terrorismo, alcuni dei quali hanno partecipato al massacro del 7 ottobre 2023. Il termine fissato per il cessate il fuoco e l’impegno al progressivo ritiro dei soldati israeliani da Gaza. Ogni dettaglio viene discusso, commentato, c’è chi spera, chi teme. La tregua stessa è sempre in discussione: già ieri il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è tornato ad accusare Hamas di avere

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