Perché dobbiamo lavorare di più e risparmiare di più
«L’uomo moderno anela a restaurare una “età dell’oro” in cui, a dispetto del nome, non esista oro, non esista denaro, mercato, economia». Un mondo in cui il lavoro non sia più necessario, insomma. È quanto scriveva Sergio Ricossa in La fine dell’economia (1986), un libro pubblicato da Rubbettino che, ha detto una volta Alberto Mingardi, sarebbe ora considerato un classico se solo fosse stato scritto in inglese.
Anche se non può esistere un’età dell’oro, a dispetto dei proclami reboanti di chi per mestiere fa il saltimbanco, il demagogo o tutte e due le cose insieme, può nondimeno concretizzarsi il suo contrario: cioè una società fatta di miseria, povertà diffusa e conflitto belluino non istituzionalizzato. Tale è stata, a ben vedere, la condizione naturale e primigenia in cui l’uomo ha dovuto vivere prima che si sviluppasse spontaneamente un’idea geniale: cooperare per migliorare la condizione di tutti. È dalla cooperazione interindividuale e dalla divisione del lavoro che dipende la prosperità delle persone. Eliminate questi elementi, creati non per decreto divino o ministeriale ma emersi nel quotidiano come risposta alla necessità di tutti, e verrà meno quell’infrastruttura culturale ed etica che sorregge la società.
Vincoli e principi
«“Lo Stato avrà cura di te” è l’inno della modernità», ha scritto James M.........
© Tempi
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