Video reportage dalla Siria: c'è chi dice no
«Vedi quelle colline con le grandi ville? È tutto proprietà di Assad e ci vivono i suoi fedelissimi, che hanno messo da parte le armi, tante, e anche qualche carro armato. Si preparano al peggio e hanno un piano». Ahmed è un alauita, la setta sciita del dittatore di Damasco fuggito in Russia, ma gironzola ancora fra i resti anneriti dalle fiamme del grande mausoleo di al-Qordaha, dedicato al fondatore della dinastia Hafez al Assad. La sontuosa tomba è stata spogliata di tutto, come gli altri edifici-simbolo degli Assad, ma il corpo non c’era ed i nuovi conquistatori, ex ribelli jihadisti o presunti tali, si sono portati via i resti del figlio primogenito e prediletto, Bassil, morto in un incidente d’auto.
Nei giorni di Natale proprio ad al-Qordaha, roccaforte alauita e Tartus, dove i russi hanno ancora la base navale, sono scoppiati violenti scontri armati con i miliziani del nuovo governo di Salvezza nazionale messo in piedi a Damasco da Ahmed al-Sharaa. Nome di battaglia Al Joulani è un ex seguace di Al Qaida, che si presenta al mondo come «talebuono».
Il Comitato per la liberazione del Levante (Hts) che lo ha portato al potere conta su 40 mila uomini, troppo pochi per controllare l’intera Siria. I siriani sognano un futuro di stabilità e pace, ma in molti, curdi, drusi, cristiani si fidano ben poco e non vogliano saperne di stato islamico, sharia e legame stretto con il «sultano» turco Erdogan.
I primi che non ci stanno sono le sacche di irriducibili alauiti, che nel triangolo fra Latakia, Qordaha e Tartus «si sentono abbandonati da Assad al proprio destino, ma non vogliono cedere le armi. Il nuovo governo ha dovuto mandare un migliaio di uomini per mantenere sotto controllo la situazione» secondo una fonte di intelligence. Fra il 25 e 26 dicembre sono scoppiati violenti scontri con dozzine di uomini del nuovo governo uccisi prima di riuscire a catturare il generale Mohammed Kanjo Hassan. Il ricercato era responsabile della giustizia militare del regime accusato degli orrori del carcere-mattatoio di Sednaya alle porte di Damasco. A Latakia, altra roccaforte dell’ex regime, il crollo è raffigurato dalla fila chilometrica all’ingresso di una caserma del ministero dell’Interno, dove gli ex militari e poliziotti consegnano le armi e ottengono un agognato salvacondotto. «Riusciamo a gestirne duemila al giorno al massimo e va avanti così dalla fine del regime» spiega Mohammed Mostafa un giovane barbuto in uniforme. «Non trattateci come i cani di Assad» sbotta un ex soldatino in fila «Anche noi siamo contenti che il figlio di puttana sia caduto. Ho pure disertato per non farmi ammazzare, ma sono stato preso e rimandato in guerra».
I miliziani che li sorvegliano fanno il segno di vittoria con le dita e scatta l’urlo takfir, la «scomunica» contro gli apostati come Assad, fra gli ex soldati che paiono allinearsi al nuovo corso. Sul retro della caserma vengono consegnate armi e chiavi delle auto governative. Un ufficiale di polizia ha........
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