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Le parole che servono ai laici spaventati

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12.05.2025

Uno oggi sta bene. Poi, fra un anno, sta male. Fra due fa la chemio. Fra tre è morto. Quattro palate di terra e fine della storia. Perché, non funziona così, forse?

E’ un pensiero sotterraneo, che fatica a emergere, sommerso com’è da tutta la fuffa, tutto il pattume, il ciarpame, le cretinate nelle quali avvoltoliamo le nostre vite, una lunga, continua, eterna rimozione dell’unico tema che abbia un senso e che ne dia uno all’esistenza: la cognizione della fine. Lo sosteneva anche il nichilista Céline: “La mia fonte d’ispirazione è la morte. Solo la morte. Il resto non conta niente”. E noi invece rimuoviamo e rimuoviamo e rimuoviamo, un unico presente continuo infinito nel quale il tema viene nascosto, archiviato, censurato.

Poi però, come una madeleine proustiana, torna a galla all’improvviso. E allora sono guai. E paura e sgomento e angoscia e notti d’inferno perché se è così, allora niente ha una ragione e uno si domanda che cosa voglia mai dire questa presa in giro, questa buffonata, questa baracconata. Dolore, sofferenza, ingiustizia, abbandono, tradimento, sangue, solitudine: niente ha senso se non c’è un senso in quello che accade.

E’ questo l’abisso mentale nel quale precipita “l’ateo di fatto”, di cui ha parlato in un passaggio acuminato il nuovo Papa. Ma non l’ateismo vero, ragionato, convinto, frutto di una profonda riflessione e di una vera e propria scommessa: scommetto sul nulla. Troppo impegnativo, troppo nobile, troppo faticoso, addirittura........

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