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Perché Sgarbi ha ragione e l’Antitrust ha torto

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05.02.2024

L’intelligenza e la cultura non sono lavastoviglie e neppure frigoriferi. Infatti, mentre questi oggetti più si usano e più si consumano, le qualità sopra indicate, a misura che vengono messe a frutto, si amplificano, si espandono, si approfondiscono, si raffinano, propiziando il fiorire di altra intelligenza e di altra cultura. Esse sono come l’amore, sono forme di amore: perché, come dell’amore ci dice la sensibilità di Stendhal, più vengono praticate, meglio divengono compiutamente se stesse.

Da qui credo occorra partire per cercare di comprendere i termini della controversia fra Vittorio Sgarbi, da un lato, e i pentastellati supportati da Marco Travaglio dall’altro lato: e oggi anche dall’Antitrust che con una lunga delibera di 60 pagine ne ha dichiarato l’incompatibilità con il ruolo di Sottosegretario alla Cultura.

E occorre per il semplice motivo che il Dicastero della Cultura non serve a sovraintendere alla amministrazione di denaro (come quello dell’Economia), di attività agricole (come quello delle Politiche agricole), di strade e di ponti (come quello delle Infrastrutture): serve a coordinare e a diffondere l’uso più ampio e articolato possibile di beni del tutto sui generis, perché inconsumabili come l’intelligenza e la cultura. Esiste insomma una sostanziale differenza ontologica fra i beni della vita: per gli altri Dicasteri si tratta di beni oggettivamente attingibili e disperdibili; per il Dicastero della Cultura, invece, di beni esperibili solo personalmente e per loro natura diffusivi, appunto inconsumabili.

A partire da queste premesse forse si può meglio intendere come e quanto la delibera dell’Autorità, nel dichiarare incompatibile Sgarbi con la sua funzione ministeriale, sia incorsa in un errore tanto pacchiano quanto inscusabile: inescusabile perché – ricorda Alessandro Manzoni – essendo pacchiano, poteva benissimo esser visto da quelli stessi che lo commettevano.

Ebbene, le norme vigenti vietano a chi abbia incarichi ministeriali, a pena di incompatibilità, di svolgere attività – anche se gratuite – che siano “professionali” e “connesse” con quelle afferenti al proprio incarico. Va ribadito: lo vietano a prescindere dalla circostanza che si venga retribuiti oppure no, essendo vietate anche le attività........

© L'Opinione delle Libertà


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