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Il premierato, equivoci e improvvisazione

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23.02.2024

Tres si idem dicunt non est idem

In linea di massima, due dei tre partiti della coalizione governativa sono stati in passato favorevoli al regime presidenziale. Fratelli d’Italia lo aveva per bandiera e Forza Italia lo preferiva. La Lega, nonostante le giravolte, pensava a tutt’altro che il presidenzialismo. Adesso, stando assieme in maggioranza nella legislatura in corso, per mano dei loro ministri competenti hanno presentato un disegno di legge costituzionale per istituire il premierato, “la madre di tutte le riforme” nientemeno. I tre partiti hanno dunque cambiato idea, tutti e tre. Ciò non vuol dire che adesso la pensino allo stesso modo e convergano verso lo stesso modello costituzionale. Del resto, tres si idem dicunt non est idem.

Il disegno di legge, accolto dallo scetticismo generalizzato della stampa e dai fondati dubbi degli studiosi, già in commissione risulta cambiato per mano degli stessi proponenti ed impastoiato da emendamenti che, per numero e qualità, dimostrano fins de non-recevoir piuttosto che intenti costruttivi. Il premierato a cui tiene il presidente Giorgia Meloni non è definito neppure nella testa del presidente Meloni, par di capire. A meno che lei intenda semplicemente il principio in sé, cioè un presidente del Consiglio eletto dal popolo, purchessia. Che il presidente Meloni nutra un sostanziale disinteresse per i dettagli risulta dalle insormontabili difficoltà d’incastrare le sue tessere nel puzzle dei Costituenti. Più viene esaminato e discusso, più il progetto risulta mal concepito, mal redatto, mal coordinato. Il perché è di evidenza palmare e presto detto: il progetto costituisce il tentativo di scopiazzare il premierato britannico, il governo del primo ministro.

L’idea di calare, con un semplice innesto istituzionale, una figura come il premier del Regno Unito nel contesto costituzionale della Repubblica italiana è semplicemente una presunzione ottimistica. Nel sistema britannico il Parlamento rappresentativo, la Camera dei Comuni, costituisce il vertice del potere politico, che è nelle mani del primo ministro. Il primo ministro in quanto tale non è eletto dal popolo, che invece lo sceglie al pari di tutti i membri della Camera, ciascuno nel proprio collegio uninominale. Agli eletti compete il prestigioso “MPs”, Members of Parliament. Il leader del partito vincitore diventa primo ministro per il solo fatto dell’elezione e si presenta al sovrano che ne prende atto. In Gran Bretagna, ecco lo scoglio contro cui s’infrange il premierato Meloni, non esiste il cosiddetto “bicefalismo dell’esecutivo” alla maniera francese, per intenderci, perché il........

© L'Opinione delle Libertà


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