L’Ungheria del “regime change”
Il nazional-conservatorismo nasce dalla crisi sempre più evidente e (probabilmente) irreversibile dell’utopia liberale di Jean-Jacques Rousseau e di John Locke, che avevano sognato un mondo ideale in cui si negava la ragione dell’esistenza stessa di istituzioni politiche che avevano trovato radici nel mondo giudaico-cristiano, quali lo Sato nazionale, la comunità, la famiglia e la tradizione religiosa. Altri pensatori del movimento “NatCon”, come Patrick Deneen dell’Università di Notre Dame, sostengono che le élite attuali dovrebbero essere sostituite da una aristocrazia migliore, innervata su di un populismo più “muscolare”, che faccia leva sul potere dello Stato per far avanzare il bene comune. Anche se nel suo saggio Regime change: Towards a Postliberal Future Deneen sembra voler rievocare un rinnovato sodalizio Stato-Chiesa, evidentemente sulla falsariga di quanto sta accadendo nella Russia putiniana, dove però, a tutti gli effetti, esiste una sorta di “religione di Stato” greco-ortodossa, diversamente da quanto accade nella frammentazione delle chiese americane. In Ungheria, Paese-leader della nuova ideologia (il che presenta una qualche somiglianza con i movimenti nazionalisti del Primo Novecento), il nazional-conservatorismo è un progetto finanziato e sostenuto dallo Stato. Tanto è vero che nel 2020 sono stati donati con legge parlamentare 1,7 miliardi di dollari, in azioni di società pubbliche quotate, al Mathias Corvinus Collegium (Mcc) che assicura, a costi calmierati, la formazione........
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