#Albait. La felicità è alternativa alla ricchezza?
Non abbiamo alcun bisogno di sedili di velluto per andare da casa all’ufficio, ma tendiamo a comprare le auto che li hanno, per accarezzarli mentre siamo fermi in fila. Ci piace, ci dà un pizzico di felicità. Lo stesso vale per seta o cashmere. Non ci “servono”, ci piacciono. O il tartufo o la pasta al pomodoro, la pizza, le cozze o le ostriche. Tutte le nostre scelte sono un mix di bisogno e desiderio/piacere. In genere, a vincere è il piacere. De Filippo inscenò la storia di un Natale disgraziato. Un poveraccio con figli denutriti voleva soldi per sparare due botti a Capodanno. Servivano? No. Ma era il Natale d’i ccriatur’.
In base a quante persone amano un consumo, il prezzo di quel bene sarà più caro. C’è una corrispondenza diretta tra l’affluenza verso il piacere della gran massa delle persone e il prezzo. Ecco cosa produce la moda e il “piacere”. Quindi, la somma degli acquisti, ancor più della somma della produzione, dà un’idea precisa della felicità di un popolo. La somma del piacere complessivo produce il Pil o Prodotto interno lordo.
Economisti molto celebrati parlano di contabilizzare la felicità, invece del Pil. Mentono sapendo di mentire? In realtà, propongono solo una nuova unità di misura del valore. Se dovesse funzionare, quel loro calcolo o algoritmo diventerebbe esso stesso “moneta” o “scontrino” del valore. Non cambierebbe niente. Se funzionasse.
Nell’ex Unione Sovietica il rublo era filosoficamente considerato........
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