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Il corpo-soggetto: un paradigma liberale/23

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12.09.2024

Il Conflitto Sociale al tempo dell’individualismo

Fenomenologicamente parlando, quando nasciamo e il corpo viene al mondo, la società è già lì, e diviene il campo nel quale il corpo si muove e fa esperienza dell’esistenza. La socialità del corpo comporta l’esperienza diretta e incarnata di alcuni eventi: un contatto, un’interazione, l’avvio di una situazione sociale, di una possibile relazione, ma anche di un possibile conflitto.

Il conflitto – insegna la sociologia dell’Occidente democratico e liberale – è funzionale alla società. Ne è un elemento fisiologico. Una società senza conflitti è senz’altro una società totalitaria, dove gli individui sono posti sotto controllo. Ogni società aperta, dove esiste un grado diffuso e accettabile di libertà, lascia che il conflitto esista e permanga. Semmai, si occupa di costruire istituzioni e meccanismi che abbiano la funzione di incanalare il grado di conflitto entro limiti accettabili e funzionali. Il sistema politico, elettorale, quello sindacale, il sistema giuridico, possono essere visti come strumenti atti a indirizzare il conflitto entro modalità di convivenza democratica e civile.

Non solo, il conflitto sociale è uno di quei fenomeni che permette alla società di evolversi, di cambiare, storicamente, verso ciò che dovrebbe essere, moralmente ed eticamente, migliore, verso il bene, verso ciò che è più giusto. Questo paradigma – che è stato ben spiegato, a posteriori, soprattutto grazie ai contributi della Scuola di Francoforte – permise di dare corpo al dispiegarsi delle democrazie e del progresso sociale che contraddistinsero i secoli dalla rivoluzione americana e francese in avanti. Per due secoli, almeno fino agli anni ‘90 del XX secolo, ovvero fino alla caduta del muro e alla dichiarazione di “fine della storia” espresso da Fukuyama, le “magnifiche sorti e progressive” della democrazia liberale – e non quelle del sol dell’avvenire, su cui la storia diede una sentenza definitiva con la caduta del muro ‒ sembrarono dare chiaramente i loro frutti.

Solo il funzional-strutturalismo, nella teoria sociale, concepì il conflitto come un’anomalia, una malattia del sistema che andava curata, che andava fatta sparire, per consentire la costruzione dell’ordine sociale, della concordia universale, della società funzionale. Un funzional-strutturalismo, in un certo senso, mutuato dal socialismo reale, o che, viceversa, ispirò quelle forme di governo che intendono costruire, viceversa, le società “perfette”, “armoniose”, “concordi”, che la falsità dei regimi totalitari, incluso quello fascista o nazista, raccontava.

Da sempre, i conflittualisti, videro l’ordine perfetto per quel che era: un’utopia. Questa utopia si sarebbe sempre realizzata a scapito di alcuni gruppi sociali, sui quali una certa, dovuta, pressione sociale si sarebbe necessariamente abbattuta, in nome della felicità universale e della falsa coesione del resto del sistema. Insomma, il cosiddetto etnocentrismo contaminò anche le rivoluzioni popolari, socialiste e comuniste, facendo di un nemico fittizio il loro strumento catalitico.

Questo tipo di tematiche è parte integrante della new wave distopica e futurista della cinematografia di Hollywood, da trent’anni a questa parte. L’ordine perfetto è sempre un ordine imposto dall’alto, a detrimento di ciò che è più umano e più naturale, e che appartiene ad ogni individuo, incarnato dall’eroe, dotato di corpo-soggetto, che si mette contro il sistema totalitario, inumano e aberrante, che vuole dominarlo, controllarlo, imprigionarlo entro schemi comportamentali, politici e sociali.

Assumiamo il conflitto sociale, dunque, come un fenomeno assolutamente fisiologico alla nostra società occidentale: lo accettiamo. E lo possiamo affermare servendoci di tanta parte della sociologia del 900 e del contributo che di esso ne danno ne “La teoria del conflitto”, Irene Della Rossa, Alessandro Mariotti e Jacopo Todaro.

Secondo Simmel, la società è un’arena in cui si battono vari gruppi di persone. Si combattono per acquisire il potere. Certo, il conflitto è “controllato”, ma solo parzialmente e temporaneamente, dal gruppo che sinora è riuscito a prevalere sugli altri. Al di là di alcuni interessi di base comuni a tutte le società, il Potere è determinato dal nucleo delle relazioni sociali esistenti ed è........

© L'Opinione delle Libertà


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