Referendum, dopo l’ennesima carica di Balaklava è il momento di mandare in congedo il colonnello Cardigan
La débâcle che si annuncia sui referendum con un risultato di partecipanti al voto che non arriverà a sfiorare un umiliante 30% dovrebbe almeno costringere i vertici della sinistra italiana, dopo l’ebrezza della folla di Piazza san Giovanni a Roma, a ragionare su quale sia oggi la base sociale su cui innestare un progetto di alternativa politica al governo di destra. La geografia del voto ci dirà da dove vengono i consensi ai quesiti promossi dalla Cgil, e soprattutto dove si registrano le più clamorose defezioni.
Ormai da almeno 30 anni le elezioni politiche ci dicono come le aree operaie, dove la rappresentanza è strettamente connessa alle rivendicazioni, siano i serbatoi delle forse sovraniste, e come invece la sinistra ancora peschi in un tessuto metropolitano dove reggono ancora opinioni progressiste in ceti che separano la politica dagli interessi. Una geografia elettorale che si riproduce praticamente a tutte le latitudini del pianeta, a cominciare dall’Occidente- dalla Francia alla Germania agli Usa- fino all’America latina e ai paesi asiatici.
In particolare vediamo come oggi la rissa scoppiata alla Casa Bianca fra i due dioscuri che hanno vinto le presidenziali- Trump e Musk- ruoti proprio attorno agli interessi corporativi degli stati operai, che Trump vuole difendere con la sua sgangherata strategia dei dazi, per riportare fabbriche dove c’è solo Rust Bell, mentre il miliardario proprietario della Tesla mira ad un liberismo integrale transnazionale che congiunga i suoi interessi globali. Il sortilegio che ha trasformato i lavoratori da becchini del capitale, come li aveva definiti Marx, in pretoriani del mercato è il vuoto di conflitto.
In mancanza di una capacità di negoziare i grandi valori sociali -dalla proprietà al funzionamento dello stato, dalla sanità alla scuola- ponendo con forza il tema del potere, il lavoro........
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